È nel momento in cui mi accetto così come sono che io divengo capace di cambiare. (Carl Rogers)

 

Le parole di Fritz Perls, fondatore della psicoterapia della Gestalt

 
 

Il compito dello psicoterapeuta, contrariamente ad un diffuso malinteso, non è affatto quello di trovare cos’è che non va nel paziente per poi poterglielo dire. Altri glielo avevano già detto per tutta la sua vita e, nella misura in cui ha accettato le parole altrui, egli stesso “se lo diceva”.
Il lavoro dello psicoterapeuta non consiste nemmeno nell’imparare delle cose riguardo al paziente per poi insegnargliele, bensì insegnare al paziente come imparare ciò che concerne se stesso. Questo significa che il paziente deve diventare direttamente consapevole di come realmente funzioni in quanto organismo vivente.
Questo avviene sulla base di esperienze concrete e non verbali.

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La terapia della Gestalt lavora su un’equazione: la consapevolezza è uguale al tempo presente, che è uguale alla realtà. In contrasto con la psicologia del profondo la Gestalt si occupa di prendere l’ovvio della superficie della situazione che noi stessi incontriamo e di sviluppare la forma che emerge strettamente sulla base della relazione Io-Tu e del “Qui-Ora”.
Ogni fuga, verso il futuro e verso il passato, viene esaminata come una resistenza contro l’incontro che si sviluppa nel momento presente.
L’uomo moderno ha alienato, ha rinunciato a gran parte del suo potenziale tanto che la sua capacità di rapportarsi con la sua esistenza è stata severamente compromessa.

Il mio scopo è il seguente: il paziente deve recuperare il suo potenziale perduto, integrare le sue polarità in conflitto comprendendo la differenza fra giocare un gioco, specialmente i “giochi verbali” da un lato e la differenza fra questi giochi e il comportamento autentico, dall’altro lato.
La guerra civile del conflitto interiore debilita l’efficienza e il comfort del paziente… però ogni bit di integrazione lo fortifica. Ora, nella sicura emergenza della situazione terapeutica, il paziente comincia a prendersi dei rischi e trasformare le sue energie… dalla manipolazione dell’ambiente per ottenerne sostegno a uno sviluppo sempre più grande di “auto-sostegno”, e impara a fidarsi delle sue proprie risorse.
Questo processo è chiamato maturazione.

Una volta che il paziente apprende a camminare con le proprie gambe, emozionalmente, intellettualmente ed economicamente, la sua necessità di terapia collasserà, si sveglierà dall’incubo della sua esistenza.
La tecnica di base è la seguente: non nell’esplicare le cose al paziente, ma nel creargli le opportunità per comprendersi e scoprirsi da solo.

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Il “caso risolto felicemente” di una terapia non costituisce una “guarigione” nel senso di rappresentare un prodotto finito, ma con questa espressione s’intende affermare che il paziente possiede ora quei mezzi e quegli strumenti che gli consentiranno di affrontare i problemi ogni volta che se ne presenteranno. Egli è ormai in grado di muoversi libero dagli strascichi di atti iniziati ma non portati a termine.

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Il fine della terapia consiste nel far sì che il paziente non dipenda dagli altri e scopra fin dal primissimo momento che può fare molte cose, molte più cose di quelle che crede di poter fare.

(La terapia della Gestalt, 1951)